Scola: «L’uomo torni al centro del lavoro»

di Sabrina Cottone

Il cardinale parla alla Milano dell’economia e delle categorie: «La crisi nasce dall’isolamento del singolo»
Tocca alla Milano dei danè. O per dirla in maniera più evangelica dei talenti. Dopo l’incontro con il mondo della fragilità e della cultura, il cardinale Angelo Scola dialoga su «Il lavoro, l’impresa e l’economia» nella sala convegni degli Oblati Missionari di Rho.
L’arcivescovo parla con chiarezza, invita il mondo della finanza a mettere da parte «l’egoismo avido» e a interrogarsi sulla «gratuità» come valore anche economico. Chiede di occuparsi dei più deboli, gli immigrati ma anche coloro che sono spaventati dall’immigrazione. Invita a non polarizzare i conflitti: «Cerchiamo di non favorire dialettiche rigide tra aperturisti e chiusuristi. Bisogna capire anche le paure dei cittadini, interpretarle, educarle, farle evolvere».
Scola insiste sulla crisi, che secondo lui ha due principali ragioni: l’individualismo e l’eccesso di concentrazione sul presente. Il cardinale fa una garbata ma ferma “predica” al mondo della finanza, chiede agli operatori se davvero si sono interrogati sul valore, anche economico, della gratuità. E se non si sono troppo concentrati sul breve termine, perdendo di vista la prospettiva e il futuro: «Forse nella finanza la mediazione con il futuro è avvenuta poco. Mi domando se a questa incapacità, che il Papa ha definito con parole durissime, come egoismo avido, mi domando se si stanno portando dei correttivi a questo livello. Il mercato non è un Moloch immutabile». Lui ha in mente una ricetta: «Per me uno di questi correttivi è rimettere in circolo relazioni buone, da cui possono nascere pratiche virtuose».
In sala molti grossi nomi dell’economia. Banca Intesa al gran completo con il presidente Giovanni Bazoli, l’amministratore delegato Corrado Passera, e il direttore generale, Gaetano Miccichè. C’è il presidente della Camera della Moda, Mario Boselli, e il presidente dei panificatori, Restelli. Nelle prime file Alberto Meomartini, presidente di Assolombarda, Antonio Intiglietta presidente Gefi e Bernard Scholz, presidente della Compagnia delle opere. I sindacati, da Onorio Rosati della Cgil a Walter Galbusera della Uil a Danilo Calcagni della Cisl. E poi l’industriale Federico Falck, Mario Monti, presidente della Bocconi, Bruno Ermolli, presidente di Sinergetica, Michele Perini di Fiera Milano spa, Giuseppe Biesuz di Trenord, Elio Catania di Atm.
Sul palco con Scola Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo («il welfare non c’è più»), Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio («abbiamo due armi: dialogo e accoglienza»), Anna Maria Tarantola, vicedirettore generale della Banca d’Italia («la crisi ha aggredito la liquidità delle imprese e delle banche»), la giovane Ilaria Paratore della Acli («è stata mortificata ogni speranza e voglia di riscatto»).
Scola replica con un invito a pensare ai deboli, che non vivono alle nostre latitudini ma nel Sud del mondo e premono alle nostre porte: «È importante ritrovare la fiducia a tutti i livelli, a partire dai più deboli, i più colpiti dalla crisi. La dottrina sociale della Chiesa sottolinea il primato del soggetto del lavoro. Chi sta pagando di più la crisi non siamo noi, ma le realtà più emarginate del mondo come il Sud Sahara. I deboli diventano sempre più deboli e non dobbiamo dimenticarci del modo in cui i mondi del Sud ci pungolano, a partire dall’immigrazione».
Nella Milano del lavoro frenetico, l’arcivescovo ricorda di non dimenticare «il riposo e gli affetti», che sono centrali: «Non c’è possibilità di parlare di lavoro impresa economia finanza al di fuori dell’uomo. L’io è sempre in relazione». Dice: «Poiché Dio si è incarnato in un Uomo, la Chiesa è interessata a tutto ciò che è umano» ed «è aperta alla verità da qualsiasi parte provenga».
Scola è convinto che la ricetta per uscire dalla crisi sia nella «Caritas in veritate». Il tono è pacato, i contenuti forti: «Ho l’impressione che l’idea di gratuità sia stata trattata come un belletto. La business ethics è servita più a trasformare l’etica in economia che a rivedere l’economia. Abbiate l’umiltà di interrogarvi su questo dato: in che senso la ragione gratuita entra nell’economia? Questa può essere una via d’uscita dalla crisi».

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