Samar Sahhar scrive alla mamma di Shalit: “Costruiamo la pace assieme”

La lettera di Samar Sahhar alla madre del soldato isareliano Gilad Shalit: “Ho seguito con grande preoccupazione la vicenda di suo figlio e ho costantemente pregato per il suo ritorno a casa e perché tutti i prigionieri del mondo potessero riunirsi ai loro cari. Sincere felicitazioni per il rilascio, spero che possiamo costruire ponti di dialogo e pace tra i nostri popoli”
Di Samar Sahhar

Pubblichiamo la lettera di pace e speranza inviata da Samar Sahhar, palestinese, alla madre di Gilad Shalit, soldato israeliano liberato il 18 ottobre, dopo essere stato prigioniero per cinque anni di Hamas. Israele, in cambio, ha rilasciato 1.027 detenuti palestinesi.

Vorrei cominciare questa lettera presentandomi. Mi chiamo Samar Sahhar, sono palestinese e vivo a Gerusalemme Est. Sono stata la direttrice di una casa per ragazzi, nel villaggio di Betania in Palestina, e poi ho fondato una casa per ragazze chiamata Lazarus Home for Girls, per sistemare donne che versano in situazioni di difficoltà. Assieme alla mia amica israeliana Angelica Calò Livné abbiamo organizzato il “giorno del pane per la pace” per riunire insieme donne palestinesi e israeliane.

L’anno scorso ho perso la mia casa dove vivevo da anni a causa di un odio cieco e ora vivo separata dalla famiglia che amavo e ho un grande desiderio di riabbracciarla di nuovo. Ho seguito con grande preoccupazione la vicenda di suo figlio Gilad fin dall’inizio, cinque anni fa, e ho costantemente pregato per il suo ritorno a casa e perché tutti i prigionieri del mondo potessero riunirsi ai loro cari. Suo figlio è figlio di tutti. Ogni madre può capire quanto deve essere stato difficile. Ogni volta che l’ho vista con suo marito in televisione ho sofferto per voi e la vostra famiglia. Nessuna madre al mondo vorrebbe essere separata o perdere il proprio figlio.

Ho visto anche le madri dei palestinesi e credo che loro soffrano e siano le più colpite da quello che è accaduto. Le lacrime hanno irrigato in silenzio il volto a queste donne, mentre ciascuna aspettava il figlio. Sono stata toccata da suo figlio, guidato dal miracolo della grazia nell’abbracciare suo marito per la prima volta dopo cinque anni, le parole padre e madre devono essere uscite di getto, devono essere state pronunciate nel modo più prezioso e indimenticabile, con le parole padre, madre e famiglia questo momento deve essere stato più prezioso di tutto l’oro del mondo. Io spero che lo stesso abbraccio sarà esteso nei nostri cuori a ogni prigioniero e ogni persona trattata ingiustamente in questo mondo. Sono rimasta colpita nel vedere tante madri palestinesi abbracciare i loro figli. Quante famiglie riunite! È come se l’attesa dolorosa di israeliani e palestinesi fosse culminata in una speranza splendente.

È stato un giorno in cui tante madri hanno cantato e fatto festa, il giorno della resurrezione in cui le nuvole dell’oscurità sono state spazzate via dai singhiozzi di sollievo delle tante persone che hanno riavuto i propri cari. Nonostante la distanza e i muri che ci dividono, sono sicura che i cuori di israeliani e palestinesi siano uniti e abbiano lo stesso desiderio di pace, giustizia e coesistenza dei nostri popoli. È stato un giorno memorabile senza spargimento di sangue, che ha suscitato una nuova speranza per il futuro. Invio dalla Palestina a lei e alla sua famiglia le mie più sincere felicitazioni per il rilascio di suo figlio, nella speranza che possiamo unire le nostre mani per costruire ponti di dialogo e pace tra i nostri popoli. Possa suo figlio essere l’ultimo soldato. Possano i nostri prigionieri essere gli ultimi. Possano i nostri popoli continuare sulla strada che porta a una pace vera per la salvezza dei nostri figli e delle generazioni a venire, capire il perdono e offrire sempre una seconda possibilità. Le nostre anime sono assetate e desiderano abbeverarsi alla fontana della pace. Forse un seme è stato gettato da entrambi le parti, un seme che farà sbocciare i fiori della pace, possa il suo cuore essere scaldato dai raggi del sole, ora che vede di nuovo suo figlio e ora che tante madri vedono i loro.

Vorrei ricordare le parole di Januz Korzcak: “Noi siamo fratelli, figli della stessa terra; siamo stati preceduti da generazioni che hanno condiviso un destino comune nel bene e nel male, (…) un lungo cammino comune. Riceviamo la luce dallo stesso sole e le nostre piantagioni vengono distrutte dalla stessa grandine, la stessa terra ricopre le ossa dei nostri antenati (…). Abbiamo conosciuto più dolore che gioia, più lacrime che sorrisi e né noi né voi ne portiamo la responsabilità”.

Lavoriamo tutti insieme, educhiamoci insieme.

Pace, Salaam, Shalom.

Vostra,

Samar Sahhar

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