È l’Italia la «scattista» del commercio globale

di Marco Fortis

Mentre la crescita italiana resta sempre frenata dalla debolezza strutturale della domanda interna, l’export del nostro Paese nel secondo trimestre 2011 ha battuto tutti per tassi di sviluppo. Lo dicono i dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio: infatti, rispetto al secondo trimestre 2010 le esportazioni italiane sono quelle aumentate di più (+29% con dati espressi in dollari) non solo nel G7 (con la Germania seconda a +26% e il Giappone ultimo a +4%) ma anche in confronto agli altri due maggiori esportatori mondiali (con la Cina a +22% e la Corea del Sud a +19%). Da due trimestri consecutivi, secondo i dati WTO, le nostre esportazioni crescono più di quelle della Germania, mentre già avevano raggiunto il ritmo di espansione di quelle tedesche nell’ultimo trimestre dello scorso anno.

In base ai dati dell’Eurostat, ancora a luglio 2011, nonostante l’evidente rallentamento degli scambi internazionali, l’Italia continuava a guidare la classifica della crescita dell’export dei quattro maggiori Paesi UE, con un incremento in valore delle sue esportazioni del 6,4% rispetto a luglio 2010, davanti a Gran Bretagna (+5%), Germania (+3,5%) e Francia (già in calo da due mesi consecutivi, con un -3,8% a giugno e un -2,8% a luglio). Inoltre, sappiamo dai dati Istat, che ad agosto 2011 l’export italiano risultava sempre in significativa espansione, con un +16,2% rispetto all’agosto del 2010 a dispetto delle nubi nere che si addensano sull’economia mondiale.

Le nostre esportazioni avevano raggiunto un massimo storico su 12 mesi nel periodo ottobre 2007-settembre 2008, toccando i 378 miliardi di euro. Poi erano precipitate durante la crisi mondiale a 291 miliardi nel periodo febbraio 2009-gennaio 2010: una tracollo senza precedenti. A quel punto nessuno avrebbe scommesso che il ‘made in Italy’ potesse recuperare in breve tempo gli 87 miliardi di vendite all’estero andate in fumo. Ma sono passati soltanto 17 mesi e nell’ultimo anno ‘scorrevole’ terminante ad agosto 2011 il nostro export ha già recuperato ben 77 miliardi, riportandosi a quota 369 miliardi, cioè praticamente lo stesso livello realizzato nel periodo gennaio-dicembre 2008. Con la differenza che i dati di allora erano drogati dalle ‘bolle’ immobiliari e finanziarie che spingevano gli acquisti dei nostri Paesi clienti, mentre i dati di adesso sono stati conseguiti in tempi di austerità e riflettono quindi un importante aumento di competitività.

Ancora una volta, dunque, ci troviamo a commentare l’ennesimo miracolo del ‘made in Italy’. Un miracolo che probabilmente solo l’arrivo della temuta stagnazione potrà rallentare e che è tutto merito delle imprese e dei loro lavoratori: di quell’economia reale che non ne può davvero più della pessima rappresentazione del nostro Paese che la politica sta dando in tutto il mondo, screditandoci agli occhi di istituzioni internazionali ed investitori.

Non bastavano gli scandali, le contorsioni della manovra estiva, lo stallo sulla nomina del nuovo Governatore della Banca d’Italia. Ci voleva pure la figuraccia sulla mancata approvazione del primo articolo del Rendiconto generale di bilancio, con la coda dell’ennesimo voto di fiducia. Immaginiamoci cosa penseranno ora all’estero di un Paese che, pur dovendo affrontare l’emergenza del debito pubblico, ha dato l’impressione di vacillare proprio sull’approvazione dei conti. Questa ennesima vicenda negativa, con gli spread dei titoli di Stato italiani verso i Bund tedeschi intanto saliti ai massimi rispetto a quelli spagnoli, non aiuta di certo l’Italia a riacquistare credibilità in Europa.
Mentre il nostro export dunque riemerge con testarda volontà dalla dura crisi del 2008-2009, la nostra politica sprofonda sempre più nel caos e nell’inazione. I fondamentali dell’Italia restano solidi e i profili sostanziali della manovra finanziaria disegnata dal Ministero dell’economia sono tali da permettere di ridurre il deficit italiano entro il 2013 a livelli tra i più bassi al mondo, anche nell’ipotesi di un rallentamento della crescita e di minori entrate. Tuttavia, il Governo sembra ormai sprovvisto non solo di una chiara visione unitaria di politica economica ma anche di una strategia di comunicazione verso i mercati. Ce lo ha rinfacciato la scorsa settimana Richard Milne sul ‘Financial Times’, sottolineando la differenza tra noi e la Spagna, che negli ultimi mesi si è massicciamente impegnata in una tornata di ‘road show’ a livello mondiale per promuovere i propri titoli di debito. Mentre per la sottolineatura dei nostri buoni fondamentali dobbiamo ormai affidarci agli stranieri, come ha fatto due giorni orsono sempre sul ‘Financial Times’ Erik Nielsen (noto ex capo economista per l’Europa di Goldman Sachs e da settembre capo economista globale di Unicredit), il quale ha provocatoriamente affermato che «il debito declassato dell’Italia è una scommessa migliore della tripla A britannica».
Speriamo che il ‘Financial Times’ rilanci ora a livello internazionale anche i nostri eccellenti dati sull’export, che dimostrano la perdurante forza dell’economia reale dell’Italia. Magari ciò ci potrà aiutare a recuperare un po’ della credibilità perduta per colpa della cattiva politica.

15 ottobre 2011

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