Più che un sogno, un incubo. “Io mi trovavo solo, a un tavolino del bar davanti a Montecitorio…”

(di Antonio Socci) In effetti è stato un sogno strano quello di stanotte. Lo ricordo benissimo in tutti i dettagli. Io mi trovavo solo, a un tavolino del bar davanti a Montecitorio, in un viavai di politici dai volti indecifrabili. Sfogliavo quotidiani di banchieri che peroravano la causa di banchieri, fogli di industriali che sostenevano la causa di industriali e giornali di partito che sostenevano il proprio partito. Tutto trascinato da fiumi di futilità, anche sull’incombente Natale. Niente di nuovo sotto il sole. Ubriacato da tanta noia e tristezza – sorseggiando un caffè – aprii un libro dove si riportava un passo del “Fedone” di Platone: “Pare a me, o Socrate, e forse anche a te, che la verità sicura in queste cose nella vita presente non si possa raggiungere in alcun modo, o per lo meno con grandissime difficoltà”.

Così esordiva il filosofo greco. Lui però, a differenza degli intellettuali di oggi, consigliava di “appigliarsi al migliore e al più sicuro tra gli argomenti umani e, con questo, come sopra una barca, tentare la traversata del mare (cioè della vita). A meno che” aggiungeva Platone con un’intuizione geniale “a meno che non si possa con maggiore agio e minore pericolo fare la traversata con qualche più solido trasporto, cioè con l’aiuto delle rivelata parola di un dio”. Il mio maestro mi aveva entusiasmato tanti anni fa perché mi aveva mostrato che quella pagina era una folgorante profezia del cristianesimo. Infatti a distanza di secoli, quasi in risposta a Platone, san Giovanni inizierà il suo Vangelo proprio con la notizia che quella navicella del dio era arrivata: “Il Verbo si è fatto carne ed abita in mezzo a noi”.

Nel sogno di stanotte però non provavo la meraviglia di un tempo. Ero sopraffatto da un sentimento di angoscia per l’oscurità dei tempi e anche per il dolore relativo a un bimbo piccolo che era gravemente ammalato. A questo punto del sogno si è verificato di tutto. Mi ha telefonato un amico, prete di una borgata romana. Con voce concitata mi ha detto che era accaduta una cosa straordinaria nelle campagne di Tor Vergata: sei ragazzi che giocavano a pallone in un campetto, si sono accorti di una forte luce che arrivava da alcune baracche lì vicine. Si sono avvicinati: c’erano una giovane ragazza e un uomo dalla barba scura. Avevano un bambino appena nato. Sorridevano. Erano vestiti come Maria e Giuseppe nel presepe e, in effetti, erano proprio loro: Gesù era nato di nuovo, lì a Tor Vergata, in questo dicembre 2011.

I ragazzi stupiti e contenti erano poi andati a raccontare a tutti cos’era successo. Stava cominciando ad arrivare gente. Dopo poco ricevevo la telefonata di mia moglie che, anche lei con voce concitata, mi riferiva di aver portato lì il bambino malato. Con una carezza del neonato Gesù era sparita la febbre a 40 che aveva da giorni e tutti i dolori. Lei piangeva e rideva di gioia mentre mi riferiva i fatti. Mi diceva che stava arrivando ancora gente e molti portavano malati, e continuavano a verificarsi guarigioni. Io strabiliato e commosso, nel sogno, mi mettevo a correre per portare la notizia in Vaticano. Ma lì un monsignore chiamò due marcantoni della gendarmeria sostenendo che c’era un pazzo pericoloso.

Arrivava pure un cardinale a cui riferivo i miracoli che stavano accadendo. E lui: “non dica idiozie, non esistono i miracoli!”. Io gridavo che volevo parlare col papa, che lo conoscevo personalmente, ma il papa era inaccessibile, isolato, da giorni. Feci appena in tempo a scorgerlo a una finestra, invecchiato e triste. Provai a sbracciarmi dal cortile perché volevo confortarlo con questa meravigliosa notizia, lui si accorse di me, ma subito qualcuno lo prese sottobraccio e lo allontanò dalla finestra. Scappai di corsa per evitare i gendarmi. Andai allora alla redazione di quello che credevo un giornale cattolico. Ma non sembrarono interessati: erano occupati a rintuzzare i radicali sull’Ici della Chiesa sull’otto per mille. Restai perplesso, anche perché notai che alle pareti, al posto del crocifisso e della foto del Papa, c’erano altre due foto incorniciate: di Napolitano e di Monti.

In un baleno – come accade nei sogni – mi ritrovai sul viale per Tor Vergata. C’era tanta gente che andava a vedere questo evento. Anche tre ragazze straniere, che si prostituivano sulla strada, sentita quella notizia, si misero in cammino, stando un po’ in disparte, intimidite. Quando arrivai vidi che c’erano diversi poliziotti e alcuni funzionari del fisco che discutevano con la gente della zona e con il parroco. Pretendevano di far pagare a tutti l’occupazione di suolo pubblico e l’Ici sulla prima capanna anche alla Sacra Famiglia. Quando seppero chi erano dedussero che la prima capanna era a Betlemme, dunque quella era la seconda: tariffa superiore. E volevano tassare la prima come casa all’estero.

Poi cominciarono a sindacare sui doni che molti lasciavano al bambino, specialmente sui regali in denaro e infine, adocchiate le tre ragazze di strada che stavano in un angolo, a guardare commosse il bambino, chiesero loro se per caso facevano quel certo mestiere: così contestarono i loro guadagni in nero, non dichiarati e non tassati. Il giorno dopo sui quotidiani i più noti intellettuali commentarono la notizia con sarcasmo e disprezzo: misero alla berlina i protagonisti di quell’episodio di “allucinazione collettiva” (così lo definirono). La gente – sentenziarono i saputoni – era affetta da grave superstizione: le masse popolari erano state intossicate e suggestionate dalla televisione che in quei giorni – aggiunsero – aveva parlato troppo del Natale.

Intervennero anche famosi teologi o (sedicenti) specialisti di cose religiose che condannarono questo gretto “miracolismo” così poco spirituale e tanto fastidiosamente interessato a guarire dalle malattie. Biasimarono il fatto che tutta quella gente si fosse precipitata alla baracca invece di andare ad ascoltare le loro dotte conferenze religiose e tuonarono: “è un relitto di medioevo che sarà bene dimenticare in fretta. Non è ammissibile, dopo il Concilio, che accadano queste cose”. Anche dal Quirinale trapelò un certo disappunto e subito le firme giornalistiche più sensibili agli umori presidenziali criticarono il chiaro esempio di fanatismo riferendo che il Capo dello Stato avrebbe ufficiosamente commentato: “l’Italia è una e deve restare tale. Fatti di questo genere provocano divisione nel Paese in un momento in cui è necessaria la massima coesione nazionale”.

Addirittura dal Parlamento europeo e dalla Commissione di Bruxelles arrivarono condanne dell’evento, cioè della nascita di quel Bambino, giudicato un esempio di discriminazione nei confronti di credenti in altre religioni e un pericoloso incitamento alla procreazione mentre il pianeta – a loro dire – soffre di sovrappopolazione. Non mancarono di sollecitare provvedimenti punitivi nei confronti del parroco di quella borgata che – invece di stroncare sul nascere il “dissennato afflusso” di gente – aveva rilasciato interviste a tutte le tv riferendo i prodigi che aveva potuto vedere, fornendo i nomi e i recapiti di coloro che erano stati guariti.

Considerata la possibilità che l’Italia – ormai commissariata dalla Bce, dal Fmi e dall’Europa – venisse penalizzata da decisioni comunitarie derivanti da tale condanna per “intolleranza religiosa”, subito il governo fece passi formali presso la Curia che provvide a sospendere “a divinis” il parroco suddetto. E la magistratura aprì un’indagine per “abuso della credulità popolare” ed “esercizio abusivo della professione medica”. La gente semplice però era stupita di quello che aveva visto e i malati contenti di aver trovato chi li aveva sollevati dalle loro pene. Per giorni continuarono a parlare dei fatti che si erano verificati davanti a loro. E tutti lodavano Dio che aveva avuto pietà di loro e ricordavano la tenerezza dello sguardo della Madre. Fin qui il mio sogno. Ma voi pensate che sia stato solo un sogno?

 

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